Dio si serve di cause seconde
 
 
     

 

Capitolo XLIII

Siamo ad ottobre inoltrato e le poche note di Neinei s’incentrano oramai tutte sull’unico argomento che lo opprime nel profondo dell’anima: il suo processo; scritti perlopiù caotici, illeggibili, intrisi di allucinazioni e vaneggiamenti, e che non possono in alcun modo contribuire a chiarire una vicenda oramai all’epilogo.
Altra faccenda è la reazione del Cardinale Terracini, che insiste risoluto nella ricerca di un solido ed efficace argomento per legittimare ancora quel processo che, altrimenti, si sgonfierebbe da solo, ponendo così fine definitiva a tutte le sue speranze.
Ed è unicamente per tal motivo che egli persevera nella sua indagine, interrogando un Neinei sempre più spaventato e sempre più sconvolto, nella speranza di cavargli qualche notizia utile a rinfocolare la vicenda.
I risultati, però, sono del tutto inconsistenti: la presunta eresia del giovane è cosa da poco, talmente povera da risultare ridicola.
Inoltre al Cardinale deve apparire evidente che anche le antiche minacce di Freeman hanno perso, nel frattempo, di mordente, e che si sono esaurite da sole di fronte alle cose di grande importanza a cui un Papa viene quotidianamente chiamato.
Non vi sono pertanto opportunità concrete né stimoli vivaci a sostenere tale azione giudiziaria: quel processo non appassionerebbe proprio nessuno e per contro marchierebbe indelebilmente il Cardinale di una sua azione contro la stessa Chiesa.
Il processo, pertanto, non si può fare e non verrà mai fatto; o, perlomeno, leggendo l’incartamento nel suo insieme, è questo che si intuisce.

Occorre però dire, che in un esaltato e stravolto racconto di Neinei, il giovane descriverà accadimenti che potrebbero assomigliare proprio ad una specie di processo istruito a suo carico.
Non avrei assolutamente tenuto conto di tale avvenimento, tanto innaturale ed allucinatorio esso appare, se non fosse per la descrizione dei luoghi in cui questo sembra essersi svolto e per il forte impatto emotivo che questo avrà sul giovane.
Nella sua nota, Neinei accenna ad un ambiente ottagonale, di pietra, con un tavolaccio al centro ed una specie di pulpito posto di fronte a quattro scanni di legno massiccio, imponenti di suo; ambiente che egli stesso descrive come una prigione.
Il fatto straordinario è che una stanza con tali caratteristiche esiste; esattamente sotto il giardino centrale dell’Ospizio di Santa Marta, quello frequentato da Neinei, e dal quale tale ambiente ricava luce ed aria, attingendola da dei lucernai ben dissimulati nella vegetazione rigogliosa del giardino stesso.
Il racconto del giovane è impressionante ed assomiglia più ad un incubo elaborato dalla sua mente malata piuttosto che ad un fatto effettivamente vissuto.
Ma non scarto del tutto l’ipotesi che qualcosa a Neinei sia accaduta, anche se escludo assolutamente che i fatti si siano svolti come egli li descrive
.

Neinei narra, infatti, e la droga la fa da padrone:

Non ricordo come venni trasportato in quel luogo; so che vi giunsi con i polsi legati e con le catene ai piedi a testimonianza di una costrizione fisica che fino a quel momento si era concretizzata solo in oscure minacce verbali.
Mi ritrovai all'improvviso in una stanza piuttosto vasta e fiocamente illuminata da alcune torce che spandevano la loro incerta luminosità ad intermittenza, conferendo all'ambiente un profilo infernale.
La stanza era ottagonale, ampia e tutta in pietra; il colore predominante era il grigio, ma anche il verde della muffa che negli anni si era accumulata a strati, marcava l'ambiente, che, a causa anche del giallo aranciato delle torce accese, sembrava continuamente cangiare con sfavillii sorprendenti, parendo, nella sua penombra tetra e sulfurea, rivestito da arazzi sfarzosi.